Yòrgos Chronàs è considerato fra i maggiori poeti contemporanei greci. Nasce nel ’48 al Pireo e a vent’anni circa si trasferisce ad Atene. Pubblica il primo libro nel ’73. Il secondo, l’anno dopo, glielo finanzia Mànos Chatzidàkis, che gli procura anche un breve spazio di 15 minuti alla radio nazionale, sul terzo canale. Il programma si chiama “Odòs Pànos” (via Pànos). Da allora, non si contano gli interventi nella vita culturale del paese di Chronàs, talmente tanti sono. Pubblica 20 libri fra poesia, prosa e teatro. Continua le trasmissioni radiofoniche. Fonda una rivista letteraria (Odòs Pànos) e l’omonima casa editrice. Scrive anche canzoni, circa un centinaio, musicate da Chatzidàkis e altri nomi della musica contemporanea greca. Forte e influente è la sua presenza nelle lettere del paese. Più o meno nel 1970, conosce in un caffè del Pireo Michàlis Katsaròs che gli segna la vita poetica, come egli stesso sottolinea, a tal punto da dire, in un’intervista per la ERT (la RAI greca): “Molto di quello che ho scritto è dedicato, direttamente o non, a Katsaròs; non ho problemi nel dirlo”. Lo segna nel linguaggio, scarno, diretto, piano. Ma mentre Katsaròs è anche poeta di un linguaggio diretto di denuncia, Chronàs non fa da megafono ma da regista. “Quello che c’è nei miei testi non sono io; è quello che mi gira intorno. Può darsi che però, alla fine, sia anche io.” Chronàs viene definito “poeta delle piccole cose” ma in sostanza è un trasfiguratore della realtà, che prende il via da qualsiasi piccola cosa gli giri intorno. Una sorta di “surrealista” che registra, e trascrive, il surrealismo presente nelle nostre profondità quotidiane, con una lingua che tante cose è ma non surrealista. Viene anche definito “poeta del dolore” ma mi piacerebbe sapere chi non lo è, seppure per un momento. Ma il suo è un dolore distorto nelle parole e che è sempre presente, perfino quando andiamo al chiosco a comprare una birra. Il suo linguaggio è per certi versi spiazzante, e va messo in relazione al linguaggio della tradizione poetica greca, ancora oggi in molti casi lirica. E’ piano e colloquiale ma poi sfugge di continuo nelle piccole derive oscure del nostro vissuto più intimo, personale, e quindi trasfigurato dal nostro dolore. E’ spiazzante perché non c’è mai il ricorso al poetico, al verso che si fa ricordare e intorno a cui girano interi componimenti. In Chronàs è il totale che fa il totale. Bisogna considerare il testo nel suo totale. Sono uomini sospesi, i suoi, sopra le proprie stesse macerie, e che gettano parole nei buchi neri alla ricerca di qualcosa: le parole si allungano in significati inattesi, e ci spiazzano.
In memoriam
Alla fine poteva anche non essere mai sceso dal treno
e stare là da prima di me ad aspettare qualcuno
nessuno o niente. Poteva anche essere un uccello imbalsamato
in via Pireòs o un cervo fossilizzato sopra gli scogli
– queste morti stanno dipinte dentro di noi senza ali,
senza musica, senza entrate e uscite, così restano morti
sottoterra, in tutti i tempi, sulla terra.
Alla fine potevo anche non essere io, ma un altro
arrivato da giorni alla stazione, sotto
l’orologio fermo, in attesa di un incontro
la domenica pomeriggio. Potevo anche essere la manifestazione
tradita, il disertore, l’entrata del vinto nel
ritratto della sua fama postuma, la droga.
Quel pomeriggio, trovammo il nostro volto. Non eravamo più
noi. Eravamo belli, allora. Cosa rara.
e stare là da prima di me ad aspettare qualcuno
nessuno o niente. Poteva anche essere un uccello imbalsamato
in via Pireòs o un cervo fossilizzato sopra gli scogli
– queste morti stanno dipinte dentro di noi senza ali,
senza musica, senza entrate e uscite, così restano morti
sottoterra, in tutti i tempi, sulla terra.
Alla fine potevo anche non essere io, ma un altro
arrivato da giorni alla stazione, sotto
l’orologio fermo, in attesa di un incontro
la domenica pomeriggio. Potevo anche essere la manifestazione
tradita, il disertore, l’entrata del vinto nel
ritratto della sua fama postuma, la droga.
Quel pomeriggio, trovammo il nostro volto. Non eravamo più
noi. Eravamo belli, allora. Cosa rara.
*
Come allora, suoneranno i grammofoni,
allora, quando Rita se ne andò e restammo sole
nei bordelli.
Non avevamo uomini – Nikos era appena uscito
di prigione, e Simone portava in giro i bambini in carrozzina
per i luna park di provincia
Eravamo uscite sulla porta e ci passavamo il pettine
fra i capelli
Volevamo microfoni, veli neri gettati sulle spalle,
profumi costosi per i nostri corpi.
Genni, che dovevamo fare? Il mercato si riempiva
di maschi cavalli stecchiti e noi, con le borse, chiedevamo
del pesce.
allora, quando Rita se ne andò e restammo sole
nei bordelli.
Non avevamo uomini – Nikos era appena uscito
di prigione, e Simone portava in giro i bambini in carrozzina
per i luna park di provincia
Eravamo uscite sulla porta e ci passavamo il pettine
fra i capelli
Volevamo microfoni, veli neri gettati sulle spalle,
profumi costosi per i nostri corpi.
Genni, che dovevamo fare? Il mercato si riempiva
di maschi cavalli stecchiti e noi, con le borse, chiedevamo
del pesce.
*
Oramai passeggiano nei porti
gli amori, i baci frettolosi dietro le lamiere
dentro le baracche, accanto ai bagni
Piccole stanze, grandi stanze, stanzini
e sedie
custodiscono gli amori sotto chiave
Oramai stupidi, e prolungati.
gli amori, i baci frettolosi dietro le lamiere
dentro le baracche, accanto ai bagni
Piccole stanze, grandi stanze, stanzini
e sedie
custodiscono gli amori sotto chiave
Oramai stupidi, e prolungati.
La morte degli amanti
Ieri si è spenta la sua voce con le ombre
dietro le camere dove ci incontravamo
di sabato tardi,
vivendo la mitologia dei dettagli
prima della genesi del mondo
avendo tu il ruolo di Proteo
e io un ruolo di cui non ricordo più
le parole
le frasi
gli schemi.
Solo a momenti ricordo quelle
nostre ombre sul muro, dai movimenti così conosciuti
che nemmeno le osservavamo
nemmeno le commentavamo
nemmeno le vivevamo.
Come quella musica, musica disgregativa,
musica monotona nel nostro silenzio, dissolvente
nel tempo che si scioglieva in candele da due soldi,
fatte col grasso del maiale, sopra il tavolo
venivano dall’ignoto insieme all’incenso,
bruciavano.
Non ricordo altro, tutto c’è spento con la genesi
del mondo, quel giorno che tuo padre
facendo iniezioni di calce e terra nel cortile
fabbricò la prima cifra del nostro abbecedario.
la chiave per aprire la camera
dell’incenso
e delle candele da due soldi di grasso di maiale.
dietro le camere dove ci incontravamo
di sabato tardi,
vivendo la mitologia dei dettagli
prima della genesi del mondo
avendo tu il ruolo di Proteo
e io un ruolo di cui non ricordo più
le parole
le frasi
gli schemi.
Solo a momenti ricordo quelle
nostre ombre sul muro, dai movimenti così conosciuti
che nemmeno le osservavamo
nemmeno le commentavamo
nemmeno le vivevamo.
Come quella musica, musica disgregativa,
musica monotona nel nostro silenzio, dissolvente
nel tempo che si scioglieva in candele da due soldi,
fatte col grasso del maiale, sopra il tavolo
venivano dall’ignoto insieme all’incenso,
bruciavano.
Non ricordo altro, tutto c’è spento con la genesi
del mondo, quel giorno che tuo padre
facendo iniezioni di calce e terra nel cortile
fabbricò la prima cifra del nostro abbecedario.
la chiave per aprire la camera
dell’incenso
e delle candele da due soldi di grasso di maiale.
Quel giorno sei venuto e mi hai trovato
afflitto.
– Poveretto, mi hai detto
i giorni vuotano cicuta
nei nostri bicchieri pieni
e io non sono Socrate
per morire tranquillamente in prigione.
afflitto.
– Poveretto, mi hai detto
i giorni vuotano cicuta
nei nostri bicchieri pieni
e io non sono Socrate
per morire tranquillamente in prigione.
Ti ho guardato quando sei caduto sul pavimento,
giallo dipinto di ocra, con un odore che non
distinguevi se era sperma di uomo o incenso.
Hai gridato
– Che almeno mi divorino i cani.
giallo dipinto di ocra, con un odore che non
distinguevi se era sperma di uomo o incenso.
Hai gridato
– Che almeno mi divorino i cani.
Ieri c’è stato il tuo funerale. Non ci sono andato.
Sono rimasto con la mia ombra nella camera
dove ci incontravamo tardi di sabato
bruciando candele di grasso di maiale e incenso.
Ho continuato a bere cicuta.
Sono rimasto con la mia ombra nella camera
dove ci incontravamo tardi di sabato
bruciando candele di grasso di maiale e incenso.
Ho continuato a bere cicuta.
Ieri c’è stato il tuo funerale.
Io non ci sono andato.
Io non ci sono andato.
*
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